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Il “bischero di palude” è un arbusto caratterizzato da un pronunciato rigonfiamento all’estremità dello stelo che vive in prossimità di acque torride. Al primo soffiar del vento, il bischero si ritrova ad ondeggiare di qua e di là, strattonato a scatti intermittenti dalle correnti del caso.
Immaginatevi, ora, il toscano. Egli è seduto su un prato e osserva i bischeri. Anzi, egli non è seduto: è la terra che ha deciso di appoggiarsi al suo c…orpo.
Il toscano, questo essere simile agli umani con una grande vista e un udito molto sensibile, è riuscito a captare gli innumerevoli segnali che ogni giorno la natura suggerisce per creare ciò di cui più l’umanità aveva bisogno: una nomenclatura precisa, segmentata e ben definita dei diversi tipi di coglioni che puntualmente ammorbano le nostre vite.

È ancora possibile raccontarci una storia diversa dall’Antropocene o dal Capitalocene? È possibile entrare in scena non come primi protagonisti, ma reinventarci uomini «responso-abili», come scrive la Haraway nel suo ultimo libro Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto tradotto da Nero edizioni (2019), capaci di «con-patire» e «con-dividere» la Terra per quella che è – un reticolo multispecie, un hummus di creature striscianti, fangose, unite? Se non vogliamo abbandonarci alla disfatta dei nostri deliri imperialisti, la risposta non può che essere positiva. Imparare a «mondeggiare», creare connessioni vivaci, salti tra specie, unire nuovi link, è una proposta per sciogliere l’immaginario comunemente accettato dell’uomo, star di narrazioni che lo separano dalla natura.
Arduo però credersi “umani-poco-umani”, mischiati e infetti. Nell’economia dello spreco e della distruzione ci preferiamo incantati dalla nostra immagine, piazzati accanto a esseri che consideriamo vivi quanto gli oggetti che arredano la casa da cui adesso scrivo.

O e M sono stesi su un prato. Al di là dei piedi scalzi, un fitto manto verde si srotola via via più opaco lungo l’orizzonte. I contorni formosi delle colline recintano il paesaggio dove i due sembrano vivere una dimensione tutta loro. Ogni cosa è calma. Il cielo terso delle prime giornate primaverili sembra consistente, uno strato solido e colorato che strizza il sole in una morsa e lo costringe ad abbandonarsi mogio sopra i campi, mentre intorno l’unico rumore che si muove è quello degli uccellini, che giocano a rincorrersi fra un ramo e l’altro senza prendersi mai, nell’imperturbabilità della situazione.
«Ce l’ho, ecco cosa sono due cose opposte» esordisce d’un tratto O.
«La luce e l’ombra, il bene e il male, la Coca Cola con gli zuccheri e la Coca Zero…» risponde M.
«Ma se quando facevi la dieta pure tu la bevevi la Coca Zero!»
«È stato un periodo dove ero nell’ombra, dalla parte sbagliata del dualismo. Ero passato al lato oscuro».
«Sì vabbè, comunque la mia è una storia vera, c’entra anche con la tua fissa per le kcal».
«Ti ho detto che quel brutto periodo è passato, ora sono tornato a essere un grande estimatore degli zuccheri. Cosa sarebbero quindi due cose opposte?»
«Due cose opposte…» O starnutisce, tira fuori un fazzoletto dalla tasca e dopo essersi soffiato il naso riprende di nuovo. «Due cose opposte non sono per forza due cose contrarie».
Illustrazione di Coito Negato